Artašat

comune armeno

Artašat (in armeno: Արտաշատ, greco: Artaxata) è una città di circa 25.200 abitanti (2007)[1], capoluogo della provincia di Ararat in Armenia, sul fiume Aras nella valle dell'Ararat.

Artašat
comune
Արտաշատ
Artašat – Bandiera
Artašat – Veduta
Artašat – Veduta
Localizzazione
StatoBandiera dell'Armenia Armenia
ProvinciaArarat
Amministrazione
Data di istituzionecittà dal 1961
Territorio
Coordinate39°57′14″N 44°33′02″E / 39.953889°N 44.550556°E39.953889; 44.550556 (Artašat)
Altitudine830 m s.l.m.
Superficie18,3 km²
Abitanti22 269 (2011)
Densità1 216,89 ab./km²
Altre informazioni
Cod. postale0701–0706
Prefisso(0)235
Fuso orarioUTC+4
Targa25
Cartografia
Mappa di localizzazione: Armenia
Artašat
Artašat
Sito istituzionale

Storia modifica

La città fu fondata non molto distante dal fiume Arsania, dal re d'Armenia Artaxias I nel 190 a.C., che ne fece poi la sua capitale, dietro consiglio di Annibale.[2] Fu centro culturale e politico del Regno di Armenia fino alla sua caduta nel 428, quando il capoluogo venne spostato dai Sasanidi più a nord, a Dvin.

Vicino alla città avvenne lo scontro tra Tigrane II e Lucio Licinio Lucullo, noto come battaglia di Artaxata (68 a.C.), durante la terza guerra mitridatica. Nel 34 a.C. Marco Antonioavanzò direttamente sulla città. Il re armeno Artavaside, intimorito e preoccupato, si consegnò e venne fatto prigioniero da Marco Antonio che gli ingiunse di consegnare tutte le ingenti ricchezze del regno. Il re fu messo in catene mentre il figlio Artaxias II venne facilmente sconfitto e costreto a fuggire nell'Impero partico; Marco Antonio occupò rapidamente l'intera Armenia che egli trasformò in provincia romana dopo aver stanziato colà le sue legioni al comando del fidato e capace Publio Canidio. In epoca imperiale fu occupata dalle legioni romane provenienti dalla Siria agli ordini di Gneo Domizio Corbulone (58), ma distrutta nel 163 da Marco Stazio Prisco.

Note modifica

  1. ^ Servizio Statistico nazionale dell'Armenia[collegamento interrotto]
  2. ^ Plutarco, Vita di Lucullo, 31.3.

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